François Truffaut, con accanto Jean Cocteau, Edward G. Robinson e Jean-Pierre Léaud. Nel 1959 all'epoca de I quattrocento colpi.

martedì 15 novembre 2011

Lo stato delle cose



Il cinema riflette sul cinema. Si potrebbe dire metacinema, ma al tempo stesso la riflessione è più circoscritta di quello che può sembrare. Il campo prescelto è quello dell’inquadratura fotografica, dove tutto è contenuto nel rettangolo della pellicola, e le riflessioni speculative per quanto complesse rimangono confinate all’esterno.

Lo stato delle cose (Der Stand der Dinge) è un film di Wim Wenders del 1982, vincitore del Leone d'oro al miglior film della Mostra del cinema di Venezia.

Portogallo, febbraio 1981, un albergo isolato in riva al mare. Non è ancora iniziata la stagione balneare: ci abita un team che fa riprese cinematografiche. Due anni prima una burrasca ha danneggiato considerevolmente l'albergo; la piscina e parti dello stabile sono semidistrutti. Per questo motivo l'hotel è stato scelto dalla troupe: il film rimanda al classico di fantascienza "The Most Dangerous Man Alive" di Allan Dwan. Dopo due settimane di riprese, però, è terminato il denaro per il proseguimento della realizzazione del film: si attende con ansia il ritorno del produttore, rimasto a Los Angeles. Il regista (Fritz) decide di andare a Hollywood, dove cerca e infine trova il produttore, che si nasconde perché teme di essere ucciso. Fritz non crede a questa storia, ma improvvisamente fanno la loro comparsa i killer: egli finirà per essere assassinato nel modo più impensato.

"Lo stato delle cose" è forse il lavoro più interessante di Wenders degli anni '80, autentica riflessione sul cinema e sui bisogni dell'artista. A ben vedere, si tratta di un film stratificato, i cui temi e la loro trattazione emergono gradualmente, iniziando dalle cose concrete per poi addentrarsi nell'astratto, nel non tangibile, nell'impulso che determina la nascita e la morte del processo creativo.

La prima riflessione si incentra sulla differenza tra il cinema americano ed il cinema europeo, e sui differenti bisogni di cui si nutrono. Il primo vive di azione, movimento. Il cinema americano è un cinema del fare, un cinema che crea il tempo del racconto, che lo plasma a suo insindacabile giudizio come se fosse un piccolo dio alle prese col suo piccolo universo. Il cinema europeo, invece, è un cinema che cerca non solo di raccontare la vita, ma di emularla, copiarla trasferendone la temporalità su pellicola. Non è un caso quindi, che tutta la prima parte del film (quella ambientata in Portogallo), sia giocata sui tempi dilatati, sull’approfondimento dei personaggi, sulla descrizione del vuoto, della noia, dell'attesa di qualcosa che non arriva mai, in cui si vede riflesso il cinema di Michelangelo Antonioni. La seconda parte invece sblocca la non-narrazione per affondare i denti nel racconto, tirando le fila (anche tematiche) del film, mostrandoci più azione e movimento, entrambi vuoti e malinconici, quasi una panoramica decadente sull'impossibilità di raccontare la vita attraverso il cinema.

Si tratta di due luoghi, ovvero di due modi di vedere le cose ed il loro stato. In questo modo l’analisi del linguaggio cinematografico si riflette sui paesaggi rappresentati. In Portogallo, il paesaggio è il luogo della visione, dell'impulso, un luogo dove scaturisce la creatività e dove la creatività nasce e si sviluppa, mentre la Los Angeles dipinta da Wenders è un luogo triste e desolato, quasi una scenografia duplicata all'infinito che scorre imperterrita dai finestrini della roulotte del produttore.

C'è infine un’immagine che permane per tutto il film. È il fantasma del film che Fritz sta girando in Portogallo, e che non riuscirà mai a portare a termine. Questo è l'altro grande tema della pellicola: il desiderio mai raggiunto, il sogno mai realizzato, un film che non ha modo di nascere, e per conseguenza una storia che non riuscirà mai ad essere narrata.

Eppure, nonostante l’impossibilità (narrata) di mettere in scena una storia, l’esperienza ha reso il film di Wim Wenders di buon auspicio per un nuovo futuro “grande” regista.

Si racconta infatti che alla fine della lavorazione de "Lo stato delle cose", Wim Wenders avanzò qualche caricatore di pellicola, che il regista tedesco regalò al compositore della colonna sonora del film. Il compositore era Jim Jarmusch e il film che nacque dalle ceneri de "Lo stato delle cose" fu proprio il cortometraggio che poi si trasformò nell'esordio nel cinema del regista americano, "Stranger than paradise".

2 commenti:

  1. Decisamente preferisco la prima parte. Non ero consapevole che il perchè sta anche nel fatto che preferisco il cinema europeo, quello del racconto piuttosto che quello americano del fare.
    Adoro quell'inutile attesa di non si sa bene cosa, quel waiting for che indugia sui personaggi e sulle loro esasperazioni, che è un racconto estetico, nel senso dannunziano del termine in cui arte e vita si mescolano e non è più possibile riconoscere l'una o l'altra.
    Bellissimo l'incipit: lo sforzo del regista, che è lo sforzo di chiunque racconti una storia, il quale tenta di raccontare con telecamera puntata, occhiali specchianti, forse simbolo di un occhio oggettivo, ma è costretto ad arrendersi, abbassare la telecamera e partecipare alla storia, perchè questa non può mai raccontarsi guardandola svolgere da un balcone.
    Infine un plauso particolare ai paesaggi del Portogallo così protagonisti, così metafisici da sembrare ispirati da De Chirico.

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  2. Guardai adolescente questo film al cinema "per sbaglio" nel senso che non era assolutamente del mio genere ma alla fine mi innamorai della pellicola per svariati motivi: la musica, l'ambiente, il bianco e nero, la tranquillita' che mi ispirava (e mi ispirano questi posti desolati, specialmente vicino al mare) il silenzio e la pace (che si trovano in certi monasteri, come dice Battiato), cioè l'assenza di incessanti rumori di una societa' industrializzata e la presenza al massimo di soli suoni da associare a qualcosa di non troppo nuovo: la vecchia macchina da presa, le onde dell'oceano, i cigolii delle porte arruginite (quelle che sono rimaste) nell'albergo quasi diroccato, il vento, i versi di qualche selvaggio animale notturno del posto: suoni antichi che ancora oggi ricerco e anelo quando ho la possibilita' di andare in vacanza ma che non riesco poi a godere in dati rarissimi luoghi in tutta la loro bellezza a causa degli impegni della vita.

    "Lo stato delle cose" penso sia uno di quei film da inserire nella lista di quelli raramente trasmessi in tv perchè non facenti parte della lista di sempre gli stessi mandati in onda dalle reti televisive a causa della parossistica (da parte loro) ricerca della sola audience di massa, quelli che mandano in onda alle 3 e mezza di notte quando pochissimi hanno la facolta' di vederli e che non compariranno mai in quegli elenchi preconfezionati di 10.000 titoli (elenchi che in realta' sono sempre gli stessi e nei quali mancano sempre gli stessi film) di quelle megavantaggiose offerte che ci propina il regime attuale per pochi spiccioli sotto varie forme e da vari "operatori".

    Ho visto che tra i moltissimi film che sono decenni che vorrei vedere e che quindi in tv non passano mai sono tutti quelli nell'elenco del genere DISTOPICO descritti su wikipedia, tra cui 1984 di Orwell e moltissimi altri li' descritti (https://it.wikipedia.org/wiki/Distopia) e quindi non avendo la possibilita' (e come me tantissime persone) di acquistarli o capire facilmente quando e se mai verranno mandati in onda su chissa' quale canale, non posso che scrivere queste righe con un senso di rassegnazione per non poterli vedere se non in fortuite casuali occasioni.

    Chissa' se qualcuno che qui legga queste mie poche righe mi sappia dire il posto dove è stato girato "lo stato delle cose", dove si trovi con precisione quell'albergo (spero esista ancora) e tutti i titoli delle musiche della colona sonora.

    Ciao, tante belle cose. Buona giornata.

    GRAZIE frengo.

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