François Truffaut, con accanto Jean Cocteau, Edward G. Robinson e Jean-Pierre Léaud. Nel 1959 all'epoca de I quattrocento colpi.

venerdì 29 aprile 2011

BAD GUY (NABBEUN NAMJA)



Il film di Kim Ki-duk del 2001 narra di una trasformazione e delle relazioni che questo cambiamento, seppur forzoso, si riverberano dall’interno all’esterno.

La protagonista del film Sun-hwa (interpretata dall’attrice coreana Seo Won), una giovane studentessa innamorata del suo ragazzo e della vita, si trasforma (meglio dire: viene trasformata) in una prostituta, così degradando la sua esistenza nella più bassa condizione sociale.

La donna, passando per diverse identità (rappresentate da molteplici segni esteriori: la pettinatura, l’abbigliamento, l’espressione del volto), si ritrova a vivere una nuova esistenza, a mercificare il suo corpo e ad essere osservata come un topo in una gabbia. Finché dopo continue violenze, sfinita, si arrende alla possibilità di un amore con il suo oppressore, che fin dall’inizio della storia è profondamente innamorato di lei.

La trasformazione ci riporta al famoso e intenso racconto di Frank Kafka “La metamorfosi”, forse uno dei massimi contributi alla letteratura contemporanea, dove Gregor Samsa si ritrova a essere da commesso viaggiatore a scarafaggio.

Il racconto kafkiano, come è noto, conduce il lettore all’interno di una nuova prospettiva esistenziale, mostrando i reconditi psicologici non solo del protagonista ma anche dei personaggi che lo circondano.

Kafka racconta non di una metamorfosi, ma di una serie, ed innanzitutto della trasformazione che vivono i genitori del protagonista. La metamorfosi non tratta solo di Gregor Samsa, getta una luce importante sui rapporti famigliari, tentando di chiarire dall’esterno i tumulti interiori che vive il protagonista del racconto.

Così tornando al film di Kim Ki-duk, lo spettatore sa che Sun-hwa (come il Gregor di Kafka) ha pensieri e sentimenti, ma lei non possiede più la lingua (figurativamente), e non può comunicare con l'esterno. Nonostante la storia sia rappresentata dal punto di vista dell’oppressore della ragazza, lo spettatore è l’unico a sapere che alla violenza della donna corrisponde una violenza altrettanto cruenta che vive la società che la circonda.

Il linguaggio utilizzato dal regista è asciutto, come in tutto il suo cinema, ma intervallato da momenti di "sensibilizzazione" dello spettatore, attuata mediante diversi stratagemmi: colonna musicale, scelte di montaggio, primi piani.

In effetti, tutto il film sembra focalizzarsi sulla relazione esistenziale tra l’avere un corpo e l’avere un’anima. Ma pure se il corpo è cambiato, viene da chiedersi se la giovane donna, come Gregor, ha lasciato definitivamente la comunità umana, oppure, avvolgendo lo spettatore/ lettore in una spirale che non ha origine e fine, lo ha travolto con se, trasformando - deformando il suo approccio alle cose ed ai preconcetti del vivere quotidiano.