François Truffaut, con accanto Jean Cocteau, Edward G. Robinson e Jean-Pierre Léaud. Nel 1959 all'epoca de I quattrocento colpi.

giovedì 26 maggio 2011

Il Cigno Nero



Un film di Darren Aronofsky, con Natalie Portman, Vincent Cassel, Mila Kunis, Barbara Hershey, Winona Ryder, USA 2010, 20th Century Fox.

Il male è dentro di noi, il male siamo noi. Il cigno nero esplora una volta ancora il tema del doppio, del Dr Jekylll che acquattato nel nostro animo aspetta di potersi manifestare e prendersi quello che gli spetta. Quello che ci spetta, perché Jekyll non è altro rispetto a Hyde, è la stessa persona. Allo stesso modo il cigno nero non è altro rispetto al fratello bianco, entrambi sono Nina. E Nina vuole disperatamente quella parte, la vuole per sé e la vuole per sua madre (figura forse un po’ troppo scontata di madre che rinuncia alla propria carriera riversando le proprie aspettative sulla figlia e sottoponendola ad una pressione psicologica quasi insostenibile). Non è il cigno bianco che è in lei a farle ottenere la parte però, ma la parte buia di sé, la parte aggressiva e anche un po’ sconcia. Il cigno bianco è preciso ma non ha animo, è un vestito ben stirato che mette meno in risalto le forme. Suo fratello nero fa paura, ma non si ferma davanti a nulla e ottiene quello che vuole. Lo ottiene per sé e per suo fratello bianco perché lo sa che lo vuole anche lui ma non ha la forza di andarselo a prendere.
Il buio dentro di noi è come un pozzo intorno a cui camminiamo tutta la vita, guardandoci dentro per vedere cosa c’è, per vedere che non esca. Qualcuno a volte entra e ne esce più forte, qualcun altro non ne esce più, qualcuno ci cade dentro perché non si è mai accorto che era lì.
Ma quanto è più bello il cigno nero quando balla, nella sua infinita certezza dell’obiettivo, nel suo terribile sguardo? Quanto più sinuoso è il suo danzare, il suo spiegare le ali nel prendersi finalmente tutto, nel rubarlo con l’inganno al suo doppio bianco che non ha saputo, che non era sicuro, che ancora dubitava di sé? Se solo lui l’avesse guardato, se non l’avesse ignorato, se solo avesse nuotato insieme a lui, non sarebbe stato costretto a tradirlo. (Giovanna Pesci)

giovedì 5 maggio 2011

TEOREMA

Bisogna cercare di inventare nuove tecniche che siano irriconoscibili, che non assomiglino a nessuna operazione precedente, per evitare la puerilità, il ridicolo. Costruirsi un mondo proprio, con cui non siano possibili confronti, per cui non esistono precedenti misure di giudizio, che devono essere nuove come la tecnica. Nessuno deve capire che l’autore non vale niente, che è un essere anormale, inferiore, che come un verme si contorce e striscia per sopravvivere. Nessuno deve mai coglierlo in fallo di ingenuità. Tutto deve presentarsi come perfetto, basato su regole sconosciute e quindi non giudicabili. Come un matto, si, come un matto, vetro su vetro, perché non sono capace di correggere niente e nessuno se ne deve accorgere. Un segno dipinto su un vetro che regge, senza sporcarlo, un segno dipinto prima su un altro vetro. Ma tutti dovranno credere che non si tratti del ripiego di un incapace, di un impotente. Niente affatto. Ma che si tratti invece di una decisione sicura, imperterrita, alta e quasi prepotente. Nessuno deve sapere che un segno riesce bene per caso, per caso e tremando; e che appena un segno si presenta riuscito bene per miracolo, bisogna subito proteggerlo, custodirlo, come in una teca. Ma nessuno, nessuno deve accorgersene. L’autore è un povero tremante idiota, una mezza calzetta, vive nel caso e nel rischio, disonorato come un bambino, ha ridotto la sua vita alla malinconia ridicola e vive degradato dall’impressione di qualcosa di perduto per sempre.


Pier Paolo Pasolini (Teorema, 1968)