François Truffaut, con accanto Jean Cocteau, Edward G. Robinson e Jean-Pierre Léaud. Nel 1959 all'epoca de I quattrocento colpi.

mercoledì 25 dicembre 2013

Gian Maria Volonté




Gian Maria Volonté
(Milano, 9 aprile 1933 – Florina, 6 dicembre 1994)

Filmografia

Sotto dieci bandiere, regia di Duilio Coletti (1960)

La ragazza con la valigia, regia di Valerio Zurlini (1961)

Antinea, l'amante della città sepolta, regia di Edgar G. Ulmer e Giuseppe Masini (1961)

Ercole alla conquista di Atlantide, regia di Vittorio Cottafavi (1961)

A cavallo della tigre, regia di Luigi Comencini (1961)

Un uomo da bruciare, regia di Valentino Orsini, Paolo e Vittorio Taviani (1962)

Le quattro giornate di Napoli, regia di Nanni Loy (1962)

Il peccato, regia di Jordi Grau (1963)

Il taglio del bosco, regia di Vittorio Cottafavi (1963) (Film TV)

Il terrorista, regia di Gianfranco De Bosio (1963)

Per un pugno di dollari, regia di Sergio Leone (1964)

Il magnifico cornuto, regia di Antonio Pietrangeli (1964)

Le inchieste del commissario Maigret, regia di Mario Landi (1965), episodio della prima serie "Una vita in gioco"

Per qualche dollaro in più, regia di Sergio Leone (1965)

Svegliati e uccidi, regia di Carlo Lizzani (1966)

Le stagioni del nostro amore, regia di Florestano Vancini (1966)

L'armata Brancaleone, regia di Mario Monicelli (1966)

La strega in amore, regia di Damiano Damiani (1966)

Quien sabe?, regia di Damiano Damiani (1966)

A ciascuno il suo, regia di Elio Petri (1967)

Faccia a faccia, regia di Sergio Sollima (1967)

I sette fratelli Cervi, regia di Gianni Puccini (1968)

Banditi a Milano, regia di Carlo Lizzani (1968)

Summit, regia di Giorgio Bontempi (1968)

L'amante di Gramigna, regia di Carlo Lizzani (1968)

Sotto il segno dello scorpione, regia di Paolo e Vittorio Taviani (1969)

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, regia di Elio Petri (1970)

Uomini contro, regia di Francesco Rosi (1970)

Vento dell'est (Le vent d'est), regia di Jean Luc Godard (1970)

I senza nome (Le cercle rouge), regia di Jean-Pierre Melville (1970)

Sacco e Vanzetti, regia di Giuliano Montaldo (1971)

La classe operaia va in paradiso, regia di Elio Petri (1971)

Il caso Mattei, regia di Francesco Rosi (1972)

L'attentato (L'attentat), regia di Yves Boisset (1972)

Sbatti il mostro in prima pagina, regia di Marco Bellocchio (1972)

Lucky Luciano, regia di Francesco Rosi (1973)

Giordano Bruno, regia di Giuliano Montaldo (1973)

Il sospetto, regia di Francesco Maselli (1975)

Musica per la libertà, regia di Luigi Perelli (1975)

Todo modo, regia di Elio Petri (1976)

Actas de Marusia: storia di un massacro (Actas de Marusia), regia di Miguel Littín (1976)

Io ho paura, regia di Damiano Damiani (1977)

Cristo si è fermato a Eboli, regia di Francesco Rosi (1979)

Ogro (Operación Ogro), regia di Gillo Pontecorvo (1979)

Stark System, regia di Armenia Balducci (1980)

La storia vera della signora delle camelie, regia di Mauro Bolognini (1981)

La morte di Mario Ricci (La mort de Mario Ricci), regia di Claude Goretta (1983)

Il caso Moro, regia di Giuseppe Ferrara (1986)

Cronaca di una morte annunciata, regia di Francesco Rosi (1987)

Un ragazzo di Calabria, regia di Luigi Comencini (1987)

L'opera al nero (L'oeuvre au noir), regia di André Delvaux (1988)

Pestalozzis Berg, regia di Peter von Gunten (1989)

Tre colonne in cronaca, regia di Carlo Vanzina (1990)

Porte aperte, regia di Gianni Amelio (1990)

Una storia semplice, regia di Emidio Greco (1991)

Funes, un gran amor, regia di Raoul de la Torre (1992)

Il tiranno Banderas (Tirano Banderas), regia di José Luis García Sánchez (1993)

sabato 16 novembre 2013

SMILEY


È un film horror del 2012 diretto dal giovanissimo Michael J. Gallagher. La pellicola, che negli USA è circolata dapprima tramite streaming on-line, sembra interessante, oltre che per la trama che si incentra sul labile confine tra realtà ed immaginazione, per alcune riflessioni che si muovono tra l’indagine scientifica e quella filosofica…


Prof.: Allora chi sa dirmi cosa significa metodo scientifico?

Mark: è la modalità usata dalla scienza per spiegare le ipotesi

Prof.: si è vero, il primo passo del metodo scientifico è la formazione delle ipotesi.. ma che cos’è un’ipoesi?

Maria: è un’idea che pensi sia vera

Prof.: vero, e quando pensi che la tua intuizione abbia qualche fondamento che cosa fai?

Mark: …fai un test…

Prof.: esatto, testi la tua supposizione

Ashley: ma che fai se ti accorgi che la tua ipotesi è sbagliata?

Prof.: bella domanda, succede molto spesso. Aggiungi risultati alle tue osservazioni e rivedi la tua ipotesi.

Ashley: no voglio dire: che fai se testando la tua ipotesi ti accorgi che succede qualcosa di impossibile?

Prof.: che vuol dire impossibile?

(…)



Prof.: signori, chi vuole parlarmi del rasoio di Occam?

Mark: Le teorie non vanno moltiplicate più del necessario

Prof.: giusto, però voglio che ora mi spiegate questa teoria con parole vostre. Che cosa voleva dire William Occam?

Maria: La spiegazione più plausibile di solito è la spiegazione più giusta

Prof.: Quindi il rasoio di Occam è una regola o una linea guida?

Maria: una linea guida, perché può essere che a volte la spiegazione meno plausibile sia la spiegazione più giusta.

Prof. Esatto! Tutto questo per rispondere alla domanda che Ashley aveva posto al termine dell’ultima lezione. Come si può spiegare quello che sembra improbabile e quindi impossibile, ma che accade?

Maria: come il soprannaturale?

Prof.: lasciate che vi dica una cosa ben più strana del soprannaturale. Noi sappiamo che ci sono leggi fisiche che reggono l’universo, precise leggi, il più piccolo cambiamento, anche infinitesimale, è sufficiente… la riduzione di una sola particella subatomica, una qualsiasi, è in grado di segnare la fine dell’universo. Niente stelle, niente pianeti, niente vita, niente coscienza … noi non saremmo nemmeno qui a parlare … a meno che non si creda in un Dio il cui unico merito sia quello di essere autore di un piccolo libro di leggi che fissano i pesi, il numero delle particelle, allora dovremmo riconoscere che quelle regole potrebbero essere casuali. Quali sono le implicazioni di ciò che ho appena detto?

Mark: significa che tutto ciò che è successo è successo solo perché sappiamo che è successo..

Prof.: 10 e lode. Questa teoria è stata chiamata principio antropico. Tutto ciò che è accaduto è tale solo perché è già accaduto. Ma c’è un problema con il principio antropico. Ashley che cosa non funziona in questa idea?

Ashley: presuppone che siamo il fine, che siamo lo scopo, in realtà potremmo essere solo amebe, o qualsiasi altra forma di vita necessaria allo sviluppo, forse siamo necessari ad un disegno sconosciuto che si sta sviluppando…

Prof.: per oggi possiamo chiudere così. L’umanità potrebbe essere un passo intermedio nella coscienza, un trilione di volte più sviluppata della nostra. L’uomo ha costruito una rete fatta di milioni di nodi per comunicare gli uni con gli altri.. si chiama internet. E anche se apparentemente ogni nodo è un computer muto, vi prego di non dimenticare che ciascuna cellula del nostro cervello è capace di fare molto meglio…

Mark, Maria: come Terminator, Matrix, Dio…

Prof.: l’uomo non è ancora consapevole di cosa siamo in grado di immaginare. Speriamo solo che quando lo diventerà ne valga la pena… oppure sono solo un mucchio di sciocchezze…

venerdì 16 agosto 2013

ANOTHER EARTH

Immagina di svegliarti in un posto che non conosci e di non sapere dove sei né se intorno a te c’è qualcuno. Qual è la prima cosa che faresti?



Film suggestivo (premiato al Sundance Film Festival nel 2011) reso maggiormente intenso dall’ambientazione tarkovskiana che fuoriesce dal soggetto e dalla messa in scena rarefatta e ricca di attese e sospensioni filmiche.

Rhoda Williams (Brit Marling, co-sceneggiatrice assieme al regista Mike Cahill) una ragazza appassionata di astri è stata ammessa al MIT (Massachusetts Institute of Technology). Festeggia, balla, beve. Poi mentre guida di ritorno a casa ascolta alla radio dell’incredibile evento dell’apparizione di un pianeta gemello della Terra, abbastanza vicino da essere avvistato ad occhio nudo. Rhonda guarda le stelle e distraendosi provoca un incidente mortale dove perdono la vita una donna incinta ed un bambino. Uscita dal carcere dopo quattro anni di pena la protagonista riacquista la libertà ma non l’appartenenza alla propria identità.

Qualcosa si è rotto ed il suo tentativo è quello di convivere con il senso di colpa per il delitto che ha commesso, azzerando tutte le convenzioni che prima caratterizzavano il proprio modo di vivere su questa terra. Eppure, l’apparizione di un pianeta del tutto speculare alla Terra, conduce la protagonista verso una nuova dimensione. Questo nuovo mondo, di fatto, non è abitato da alieni, ma dal doppio di ognuno di noi, “altri” noi.

Rhoda non ha intenzione di restare imprigionata in una caverna buia ad osservare le ombre del suo passato; preferisce vedere il reale, anche rischiando di accecarsi o essere risucchiata da un buco nero. Così, come i passeggeri dei vascelli, che partivano per l’Atlantico verso un nuovo mondo, erano i reietti ed gli emarginati, anche Rhoda crede di meritarsi un posto per il viaggio spaziale organizzato verso Terra 2.

Un pianeta identico e speculare alla Terra, dove ritrovare la propria identità o comunque il significato autentico delle cose. Rivive la poetica del doppio. Quel doppio “esistenziale” che fu oggetto di riflessione di Michelangelo Antonioni (Professione reporter, 1975) e di Stanley Kubrick (Shining, 1980).

L’uomo ha una seconda opportunità o è destinato a rimanere relegato nel proprio percorso originario? È possibile emendare le proprie colpe rielaborando la propria esistenza oppure occorre resettare per intero il nostro essere nel mondo, in questo mondo? Forse l’unica soluzione è veicolare l’attenzione verso la nostra immagine, senza filtri o possibili mediazioni.

Ma la riflessione cui conduce il film è anche propriamente metafilmica: il cinema non è altro che una proiezione del reale. Lo dice l’uomo-panino per strada (ovvero, la comparsa che lo interpreta): “non siamo reali”, sfoggiando un cartello con su scritto “i nostri ricordi sono impianti di quelli su Terra 2″. E quel 2 sembra un punto interrogativo. “Siamo una proiezione dell’immaginazione di Terra Due”.

Concetto ribadito nella sequenza in cui, dal SETI, la scienziata Joan Tallis prova a comunicare col pianeta gemello e scopre un mondo doppione (nel vero senso della parola): stesse persone, stessi nomi, stesse vite. Terra 2 è nient’altro che uno specchio, una membrana sottile come quella di un monitor e rimanda ad una realtà che sembra tangibile, ma è una copia irraggiungibile.

Il secondo pianeta, quello al di là dello schermo, non è veramente una nuova opportunità. E’ solo una replica sulla quale fantasticare, è il mondo che copia se stesso, creando l’illusione di replicare ogni essere umano, facendone un essere migliore, capace di non commettere gli stessi errori dell’originale. Doppi con cui interagire, per chiedere consiglio, per sfuggire alla solitudine. In altre parole, il sogno è conoscere il proprio doppio, incontrarlo, mentre intorno nessuno comunica con nessuno. A nessuno interessa degli altri che ha intorno.



Sulla scia di moltissimo cinema che pone alle basi del proprio essere la fantascienza quale presupposto per indagare filosoficamente il significato del reale (al margine di un’inquadratura, spunta la Trilogia di Asimov, padre della fantascienza moderna), si pone questo esordio alla regia del documentarista Mike Cahill.

Convince la messa in scena, votata ad un realismo di taglio documentarista, ove viene tratteggiato in modo convincente il senso di spaesamento (o alienazione se si preferisce) che vive la protagonista, e che in fondo viviamo noi tutti, incapaci di comprendere appieno le ragioni delle nostre azioni e prima ancora delle nostre scelte.

Il dato positivo del film, dunque, non va ricercato nella novità del soggetto, quanto piuttosto nella capace e moderna rielaborazione di molteplici elementi utilizzati nel cinema, fusi in un prodotto finale che ben si può definire onesto, perché non cade nella retorica o peggio ancora nella presunzione di fornire una soluzione.

Le premesse per fondare un lavoro di introspezione psicologica, senza scivolare nella banalità, possono essere espresse non tanto per il tramite di strabilianti effetti speciali o di complessi ed incomprensibili stratagemmi della scrittura, ma più semplicemente mediante la ricerca di poesia. Il dramma per essere autentico deve transitare per gli eventi e i sentimenti comuni, in cui tutti possono identificarsi.

Apprezzabile il contributo musicale dei neworkesi Fall On Your Sword, così come la buona interpretazione dei due protagonisti: la pressoché sconosciuta Brit Marling e il caratterista William Mapother (il cugino di Tom Cruise); la compostezza dolorosa delle loro interpretazioni permette di entrare in sintonia con i rispettivi personaggi, delineati con pudore e insieme profondità.

“…e vidi la sua immagine riflessa nello specchio” (Solaris, Stanislaw Lem, 1961)

mercoledì 22 maggio 2013

DONNIE DARKO E L’AVVENTURA DEL VIAGGIO NEL TEMPO




Fermiamoci per un istante, o meglio arrestiamo lo scorrere le tempo. Forse questo è l’unico modo per attribuire un senso a questa esistenza. Inintelligibile, si potrebbe dire, o forse solo camuffata dalle convenzioni sociali.

Il film di Richard Kelly del 2001 tenta di decifrare questo percorso ponendo alcune complesse questioni: la vita che viviamo è l’unica possibile, o ve ne sono altre che si sviluppano parallelamente? Esiste un varco che consente di raggiungere le dimensioni spazio-temporali in cui siamo calati? Il tempo e lo spazio in cui ci troviamo a vivere corrispondono al tempo e lo spazio in senso assoluto?

Donnie Darko è un adolescente che in termini psicologici si potrebbe definire “problematico”. Egli contesta il sistema sociale più per la sua indole che per preconcetti ideologici o politici ed in questo modo si pone ai margini della società, borghese e perbenista, in cui si trova. Eppure, proprio tale approccio alla realtà conduce Donnie a varcare la soglia delle certezze razionalistiche e ad abbracciare la tematica degli universi paralleli o anche detta “La filosofia del viaggio nel tempo”.

Centrale in questo senso è il concetto di wormhole (in italiano letteralmente "buco di verme"), anche detto ponte di Einstein-Rosen o cunicolo spazio-temporale.

Si tratta di una ipotetica caratteristica topologica dello spaziotempo che è essenzialmente una "scorciatoia" da un punto dell'universo a un altro, che permetterebbe di viaggiare tra di essi più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la distanza attraverso lo spazio normale. Il wormhole viene spesso detto galleria gravitazionale, mettendo in rilievo la dimensione gravitazionale strettamente interconnessa alle altre tre dimensioni: spazio e tempo. Questa singolarità gravitazionale, e/o dello spazio-tempo che dir si voglia, possiede almeno due estremità, connesse ad un'unica galleria o cunicolo, potendo la materia viaggiare da un estremo all'altro passandovi attraverso.

Donnie Darko sperimenta questo tema “attraverso” e “nel” film, attribuendo alla fabula un valore propriamente diegetico ma anche di resoconto filosofico.



È stato osservato che l'intero film, tranne la conclusione, si svolge in un universo parallelo, ovvero in una dimensione parallela nell’ambito del c.d. multiverso. Frank, ucciso nell'universo parallelo, ha il potere di ritornare indietro nel tempo, che non avrebbe se fosse stato ucciso nell'universo reale. Il suo scopo è quello di fornire una spiegazione per il reattore che irrompe nella casa di Donnie, e che in questo modo "disturba" il continuum dello spazio-tempo creando un paradosso che rischia di distruggere l'universo stesso. Gli atti dei personaggi in seguito sono tutti inconsapevolmente diretti a dare un senso al paradosso, portando infine Donnie a creare lui stesso il wormhole che risucchia il motore dell'aereo e lo porta nell'universo reale, dove Donnie viene ucciso. Quelli che hanno interagito con Donnie nell'universo parallelo, tuttavia, conservano una lieve consapevolezza degli eventi in esso accaduti.

Va precisato che una dimensione parallela o universo parallelo è un ipotetico universo separato e distinto dal nostro ma coesistente con esso; nella maggioranza dei casi immaginati è identificabile con un altro continuum spazio-temporale. L'insieme di tutti gli eventuali universi paralleli è detto multiverso.

Eppure, l’affascinante tema del viaggio nel tempo e del passaggio tra più dimensioni parallele, in uno con il prolificare di suggestivi scenari fantascientifici, ha dato luogo ad una severa contrapposizione in ambito scientifico.

A ben vedere, la scienza si è addentrata nello studio ed approfondimento circa l’esistenza di infiniti altri universi paralleli al nostro. In fisica, la teoria delle stringhe è una teoria ancora in fase di sviluppo che tenta di conciliare la meccanica quantistica con la relatività generale, e che inoltre si spera avere tutte le caratteristiche necessarie per essere una teoria del tutto. Si fonda sul principio secondo cui la materia, l’energia e, sotto certe ipotesi, lo spazio e il tempo sono in realtà la manifestazione di entità fisiche primordiali che a seconda del numero di dimensioni in cui si sviluppano vengono chiamate “stringhe”.

Secondo questa teoria, il tessuto fondamentale dell’universo è costituito da oggetti ad una dimensione, simili a stringhe o membrane, in vibrazione: in base alla tensione e alla frequenza di vibrazione verrebbero prodotte e sostenute le particelle elementari. Una delle conseguenze matematiche dalla teoria delle stringhe è che il mondo che conosciamo non è completo. Oltre le 4 dimensioni con cui abbiamo familiarità – il tempo e lo spazio tridimensionale – esisterebbero altre sei dimensioni spaziali extra, presenti in forme geometriche invisibili in ogni singolo punto nell’universo.

Queste dimensioni extra potrebbero avere migliaia di forme possibili diverse, ognuna teoricamente corrispondente ad un universo con le proprie leggi fisiche. Ciò che definiamo universi paralleli.

Il concetto di "altri universi" è stato più volte affrontato in letteratura, si consideri in particolare al racconto del 1941 di Jorge Luis Borges “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, successivamente collocato nella raccolta “Finzioni”, ed ancora al “Paradosso del nonno”. Il primo a descriverlo fu René Barjavel, uno scrittore di libri di fantascienza, nel suo libro Il viaggiatore imprudente (Le voyageur imprudent, 1943). Il paradosso suppone che un nipote torni indietro nel tempo e uccida suo nonno prima che incontri sua nonna, dunque prima che potessero sposarsi ed avere discendenza. Se ciò fosse possibile, il nipote non sarebbe mai potuto nascere, dunque non sarebbe mai potuto tornare a ritroso nel tempo ed uccidere suo nonno. Il nipote ha viaggiato indietro nel tempo o no?

Quello che viene da pensare è che l’universo in cui viviamo deriverebbe da un altro universo simile al nostro e dal nostro universo deriverebbero continuamente altri universi poiché ad ogni possibile variante deriva che ogni evento rimane in uno stato di indeterminazione finché l’evento stesso non si verifica. Noi vediamo solamente una delle numerose altre possibilità del verificarsi di un evento rimanendo estranei alla diversa prosecuzione del corso degli eventi. Eppure, si potrebbe sostenere che nonostante la nostra limitata percezione della realtà tutte quelle possibili varianti si verificano e tutti i possibili universi paralleli esistono o meglio coesistono.

Tornando al film di Richard Kelly, va espresso un particolare apprezzamento per la colonna sonora, davvero ben assortita: "The Killing Moon" (Echo & The Bunnymen); "Lucid Memory" (Sam Bauer & Ged Bauer); "Head Over Heels" (Tears For Fears); "Lucid Assembly" (Ged Bauer & Mike Bauer); "Ave Maria" (Giulio Caccino & Paul Pritchard); "For Whom The Bell Tolls" (Steve Baker & Carmen Daye); "Show Me" (Quito Colayco & Tony Hertz); "Notorious" (Duran Duran); "Proud To Be Loud" (The Dead Green Mummies); "Love Will Tear Us Apart" (Joy Division); "Under The Milky Way" (The Church); "Mad World" (Gary Jules & Michael Andrews).

lunedì 11 febbraio 2013

La migliore offerta di Giuseppe Tornatore

Gli ingranaggi sono come le persone: se stanno molto tempo insieme finiscono per assumere le forme reciproche”.

Amare la pittura e sapere impugnare un pennello non basta per diventare un pittore… ci vuole un mistero che tu non ha mai posseduto”.

Gli ingranaggi di un film come La migliore offerta finiranno per assumere forme reciproche e combacianti nel corso delle oltre due ore di proiezione? Sicuramente sì, e comporranno anche un dipinto che, pur con qualche eccessiva pennellata, assurgerà sicuramente allo status di opera d’arte.

Giuseppe Tornatore, uscito dal fortunato ma restrittivo territorialismo geografico delle pellicole precedenti, crea un film perfetto come un ingranaggio, in cui le singole parti, ben equilibrate, convergono verso una sofferta ma felice composizione finale.

Il celebre critico e battitore d’aste Virgil Oldman viene contattato da Claire Ibbestaine per la stima e la dismissione delle opere della villa che ella ha ereditato dai defunti genitori. Fin dall’inizio la giovane Claire comincia con Oldman un sottile gioco a nascondino che avviluppa via via anche lo spettatore: ella soffre di un’invalidante forma di agorafobia che le impedisce di uscire dalla sua stanza e di mostrarsi al mondo, e comunica con mister Oldman (un magistrale Geoffrey Rush) attraverso la porta dell’appartamento in cui vive all’interno della stessa villa.

Va da sé che l’austero critico, abituato a valutare ogni cosa attraverso la vista, è costretto al confronto proprio in assenza del senso su cui ha fondato il suo talento e la sua rigida esistenza. E forse, anche per questo le conseguenze saranno imprevedibili…
Ogni elemento nel film è ben dosato e usato con un’accortezza che sfiora la ruffianeria. A cominciare dalla sceneggiatura, sobria e ammiccante, fatta di dialoghi ben confezionati la cui punta di diamante sono le tre-quattro citazioni che resteranno nell’immaginario e con le quali il film verrà identificato ad libitum. La fotografia serve egregiamente lo scopo, fredda e iconica nell’ovvio estetismo, fredda e livida nella rappresentazione di un mondo d’elite, fredda e limpida nell’imprevisto schiudersi dei sentimenti.

Sceneggiatura che suggerisce imperiture tematiche: la diffidenza verso il genere umano, mista e in contrasto con l’astratta ammirazione per le donne, fino all’arrivo di Claire, Claire sublimazione fisica di tutte le donne fin lì amate solo su tela; l’ineluttabile natura delle pulsioni umane, nella duplice esca lanciata: l’esca dell’arte (con gli ingranaggi dell’automa di Vaucansier) e l’esca dell’amore (con gli altrettanto complessi ingranaggi della donna da amata): amore come opera d’arte, dunque, o arte come (incompleta) educazione sentimentale?...

L’unico difetto di un film del genere, se di difetto si parla, è l’eccessiva durata della pellicola – ma una durata che, del resto, non stanca, non toglie nulla alla concentrazione né all’identificata suspance della trama.

La migliore offerta è come una delle più affascinanti opere: alla quale si perdonano i difetti (di verosimiglianza), gli eccessi (di compiacimento), la tortuosità (del viluppo), l’autoreferenzialità di una recitazione senza pari (Geoffrey Rush), in nome dell’amore e dell’arte.

Tecnicamente nulla di particolare. Tornatore più che muovere la macchina da presa sembra essere concentrato nel seguire gli sviluppi della fabula, calando “naturalisticamente” lo spettatore nella messinscena del giallo. Tra le poche eccezioni la falsa soggettiva quando il protagonista, ritornato nella villa di Claire Ibbestaine una volta scoperto il furto della sua collezione di dipinti, si appresta a ricercare la donna sparita in un crescendo di panico e rabbia. La mdp segue il procedere in soggettiva della sua ricerca, poi un stacco netto ci mostra il personaggio in modo oggettivo, elemento tra gli elementi della diegesi.

Sul piano della sceneggiatura, ancora una volta il regista (“La sconosciuta” del 2006, ma prima ancora il bellissimo “Una pura formalità” del 1994) utilizza il giallo come contesto per narrare una vicenda in cui, nonostante la drammatica evoluzione del protagonista, la rappresentazione scivola nel grottesco. Questo, forse, non per compiacersene, ma per rammentare che l’unico modo per divincolarsi dalle strette morse del conformismo e della logica dell’apparire sia quello di rompere bruscamente i legami della logica e della razionalità esasperata di questa società.

Ultima notazione: la “vera” Claire Ibbestaine, nana e autistica, ci ricorda inevitabilmente gli inquietanti nani di David Lynch…

Eva Giulia P.

sabato 19 gennaio 2013

Sorrentino - Garrone: la sfida continua…


Ritorno a parlare di Paolo Sorrentino e Matteo Garrone e dei loro ultimi lavori: This Must Be the Place un film del 2011 interpretato magistralmente da Sean Penn e Reality un film del 2012 che ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2012, perché ritengo che il loro cinema, per quanto tecnicamente e concettualmente diverso, sia il miglior risultato stilistico nello scenario italiano contemporaneo.


Senza entrare nell’analisi delle rispettive sceneggiature, e limitandomi a segnalare che si tratta della rappresentazione in entrambi i casi del percorso di due uomini (i protagonisti) che tuttavia procedono in direzioni esattamente opposte: l’uno, nel caso di Sorrentino, verso la catarsi ed il miglioramento interiore, l’altro, nel caso di Garrone, verso il deterioramento e la distruzione del Se, voglio analizzare due sequenze, credo, emblematiche, delle due pellicole, come tali capaci di significare e sintetizzare lo stile autoriale dei due registi.


Per quanto riguarda This Must Be the Place, mi voglio soffermare sulla sequenza in cui Cheyenne, il cantante dark interpretato da Sean Penn ed ispirato al leader dei Cure Robert Smith, mettendosi alla ricerca di un vecchio carnefice nazista, si imbatte in una sua professoressa del liceo (interpretata da Joyce Van Patten), del tutto inadeguata e superficiale nella valutazione storica dell’olocausto. Fin dall’inizio, quando Cheyenne intravede l’anziana insegnante in un paesino americano di provincia, la mdp si muove lentamente (utilizzando carrelli o movimenti a seguire) appena poco distante dall’oggetto della ripresa in un modo tale da sottolineare l’approccio oggettivo e fenomenologico del cinema di Sorrentino.

Il cinema di Paolo Sorrentino è un lavoro svolto essenzialmente attraverso un distacco rispetto all’oggetto della propria rappresentazione. Il punto di vista di chi osserva la realtà cinematografica è posto accanto al regista e non all’interno con i personaggi che la popolano. Non ci sono riprese in soggettiva ma prevalentemente piani sequenza e lenti carrelli, ove l’oggetto diegetico è posto a debita distanza dall’obiettivo della cinepresa.

Allo stesso modo in cui il protagonista procede lentamente nella sua ricerca, i movimenti di macchina si approcciano "distaccati" nella rappresentazione cinematografica.

Per quel che concerne Reality, invece, ritengo significativa la sequenza in cui Luciano, il pescivendolo napoletano che si ossessiona all’idea di partecipare al Grande Fratello, incontra un barbone nella piazza in cui si svolgono i fatti salienti della vicenda, in un paese della provincia napoletana. Convinto che quel barbone sia in realtà un incaricato della produzione del Grande Fratello, chiamato a verificare l’adeguatezza del pescivendolo ad entrare nel reality-show, Luciano insiste per offrigli da mangiare e da bere, e questo per rabbonirsi i favori degli invisibili verificatori del programma televisivo. La mdp muovendosi lentamente in soggettiva, dall’interno all’esterno di un bar in cui si trovano i personaggi, non corregge l’esposizione del diaframma determinando delle immagini sovraesposte assolutamente deformate ed incomprensibili.

Nel cinema di Matteo Garrone il punto di vista dello spettatore si pone assieme a quello dei personaggi rappresentati, in un modo da esaltare la valenza semantica dell’immagine cinematografica. Le frequenti soggettive e i primi piani strettissimi determinano un ravvicinamento estremo tra l’osservatore e l’osservato che quasi determinano una loro fusione.

Come il protagonista inizia un percorso psicotico che lo condurrà alla rovina, così le immagini della rappresentazione cinematografica si fanno sempre più distorte ed inintelligibili.

In entrambi i casi, continuo a dire, un ottimo cinema. Continuate così…