François Truffaut, con accanto Jean Cocteau, Edward G. Robinson e Jean-Pierre Léaud. Nel 1959 all'epoca de I quattrocento colpi.

mercoledì 14 dicembre 2011

John Carpenter’s The Ward



Nel 2010 John Carpenter torna al cinema horror a circa dieci anni di distanza dal suo ultimo lavoro (Fantasmi da Marte). Il film è stato presentato in anteprima il 13 settembre 2010 al Toronto International Film Festival, mente in Italia la distribuzione è avvenuta nell’aprile 2011 a cura della BiM Distribuzione.

North Bend, Oregon, 1966. Una ragazza, Kristen (interpretata dalla bellissima Amber Heard), presumibilmente in fuga da qualcuno, raggiunge e da fuoco ad una casa. Catturata dalle Autorità viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico, o meglio in suo un reparto speciale. La ragazza è coperta di lividi e tagli e non ha alcuna memoria degli eventi precedenti il suo ricovero. Le altre pazienti Iris (Lyndsy Fonseca) Sarah (Danielle Panabaker) Emily (Mamie Gummer) e Zoey (Laura-Leigh) non riescono a fornirle delle risposte, e Kristen si rende conto ben presto che il reparto nasconde dei terrificanti segreti. Quando le altre ragazze iniziano a sparire una ad una, Kristen deve trovare un modo per fuggire da quel luogo sinistro e pieno di misteri, ritrovandosi più volte faccia a faccia con un essere misterioso e orripilante che ce l'ha con lei apparentemente senza motivo.

A circa trenta anni di distanza dal film che ha lanciato John Carpenter nella storia del cinema (Halloween - La notte delle streghe del 1978), l’ultimo film del regista americano contiene interessanti sviluppi di scrittura cinematografica, oltre che il consolidamento del genere horror nel quale ambito la pellicola si inserisce.

Pur partendo da alcuni elementi comuni, la persecuzione da parte di un misterioso assassino e la morte delle sue vittime che sono tutte giovani e belle donne - in Halloween Laurie (Jamie Lee Curtis), Annie (Nancy Kyes) e Lynda (P.J. Soles) -, l’ultimo lavoro di Carpenter giunge ad un diverso approccio nella narrazione horror, capovolgendo l’angolo visuale in cui è posto lo spettatore.

In Halloween, lo spettatore è posto dietro lo sguardo dell’assassino. La macchina da presa ci mostra – con riprese in soggettiva – quello che vedrebbero gli occhi dell’assassino, senza tuttavia svelarci la sua vera identità. In The ward lo spettatore è situato in una posizione diversa e distaccata rispetto all’assassino. Anche in questo caso non è dato vedere – se non per brevi momenti – la sua identità, ma la rappresentazione dell’assassino non avviene più in termini soggettivi, ma attraverso le sue dinamiche interiori, o più precisamente attraverso le sue proiezioni psichiche.

In altre parole, il mistero dell’assassino ci viene mostrato attraverso la sua dimensione psicanalitica, nel caso di The ward attraverso i reconditi schizofrenici della protagonista del film, e ciò seguendo un modello di sceneggiatura oramai consolidato da anni nel cinema americano.

Pensiamo ad alcuni precedenti illustri come Memento diretto nel 2000 da Christopher Nolan, A beautiful mind di Ron Howard (del 2001), Spider di David Cronenberg (2002) tratto dall’omonimo romanzo di Patrick McGrath, fino al recente Shutter Island diretto nel 2010 da Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Emily Mortimer e Max von Sydow.

Anche in questi casi la sceneggiatura si scinde tra la realtà rappresentata allo spettatore e l’allucinazione della mente deviata dei rispettivi protagonisti: così in Memento i ricordi di Leonard Shelby si confondo con un presente che non ha origine e fine; in A beautiful mind, il talento matematico di John Nash si scontra con i complotti spionistici della guerra fredda nel tentativo di risolvere le missioni organizzate da William Parcher; in Spider, l’infanzia di Dennis "Spider" Cleg è corrotta dal complesso edipico con la madre e neppure l’età adulta è in grado di celarne gli esiti disastrosi; in Shutter Island, l’agente federale Edward "Teddy" Daniels insegue all’infinito la possibilità di fuggire dalla tragica morte dei figli uccisi da sua moglie.

Ma veniamo all’ultimo film di John Carpenter.

Viene messa in scena l’esperienza di una ragazza affetta da schizofrenia. Già dai titoli di testa viene rappresentato il contenuto essenziale del film, ovvero la rottura e frammentazione della personalità schizofrenica.

Il termine schizofrenia, infatti, deriva dal greco σχίζω (schizo, divido) e φρενός (phrenos, cervello), 'mente divisa'. Il criterio DSM classifica ad oggi cinque forme principali di schizofrenia: la schizofrenia catatonica; la schizofrenia ebefrenica; la schizofrenia paranoide, la schizofrenia semplice e quella indifferenziata.

Per quel che concerne il tipo paranoide, tra i sintomi principali ricorrono idee fisse (deliri) che includono le allucinazioni (quali disturbi della percezione).

Il delirio (quale disturbo del contenuto del pensiero) è un convincimento derivante da un abnorme errore di giudizio, impermeabile alla critica, spesso a contenuto bizzarro, talvolta sostenuto da allucinazioni uditive e/o visive. Corrisponde ad un modello mentale della realtà svantaggioso, dal momento che le decisioni prese in base ad un delirio conducono a comportamenti inadeguati e quindi ad un adattamento di livello inferiore. Il delirio, tuttavia, non viene considerato dal soggetto come patologico, perché è assolutamente identico alle altre idee. I contenuti del delirio possono essere vari: la persecuzione, il riferimento, la gelosia, il nichilismo, il controllo, l’ipocondria, la religione, la grandezza.

Il tipo schizofrenico è caratterizzato, poi, dal disturbo del controllo degli impulsi, quale incapacità di resistere ad un impulso o ad un desiderio che si presenta come impellente ed irrefrenabile. Possono essere identificati in: cleptomania (bisogno patologico e irrefrenabile di rubare); disturbo esplosivo intermittente (comprende una varia gamma di impulsi aggressivi e violenti nei confronti di persone o cose); piromania (produrre incendi con intenzionalità); tricotillomania (insopprimibile azione di strapparsi capelli o peli del corpo).

La sintesi del lavoro di Carpenter è racchiusa in un luogo, il reparto di un ospedale psichiatrico, da intendersi oltre che come luogo della cura della psiche deviata e alterata, come il risultato tremendo delle torture che hanno dovuto subire nel corso dei secoli le persone affette da disturbi psichiatrici.

Ebbene, tralasciando di entrare nello specifico degli eventi narrati, l’ultimo film di Carpenter si cimenta nella rappresentazione visiva (-cinematografica) della schizofrenia, in un modo che, pur mantenendo le radici del genere horror slasher avviato proprio dallo stesso regista negli anni settanta, aggiunge nuove tecniche di linguaggio e sviluppa un’abile manovra di aggiramento dello spettatore che solo al termine della pellicola sarà in grado di dissipare la mistificazione scenica.

martedì 6 dicembre 2011

“Pina” (di Wim Wenders)


Nelle sale è uscito “Pina”di Wim Wenders. Il lavoro è un atto d’amore del regista per la coreografa Pina Bausch ed il suo Tanztheater.
Negli anni ’70 Pina Bausch dà vita e fonda in Germania il Wuppertal Tanztheater,scardinando per sempre il linguaggio della danza accademica europea e della danza contemporanea americana. Il danzatore è contemporaneamente anche attore. Nessun gesto nel teatro danza della Bausch è privo di urgenza e senso ma sintesi perfetta di tutti gli elementi teatrali.
La sua presenza di danzatrice,coreografa e attrice si presentava esile e minuta,ossuta ma ben lontana dai clichè della ballerina eterea della danza classica. La Bausch è donna. Femminile nei suoi silenzi,nei gesti senza orpelli leziosi dei codici accademici. La ripetitività dei gesti nei suoi lavori,è insieme tormento,poesia,essenza sincera del teatro che destruttura il contesto storico e lo reinventa.
Il suo “Mood”coreografico è stata una vera e propria rottura nel panorama teatrale mondiale.
Nel 1985 Wim Wenders vede il capolavoro della Bausch “Café Müller”. Wenders e “Pina”si conoscono,si stimano e da li nasce l’idea di dar vita ad un progetto insieme che inizia a prendere forma nel 2008. Nel 2009,la Bausch muore e questo film ha la forza visionaria e la poesia fotografica di restituirci l’intensità del suo lavoro.
Wenders ci prende per mano e ci porta tra i tavolini di “Café Müller,”ci fa accarezzare “Il drappo rosso”de “La Sacre du Printemps”,nuotare sotto gli influssi lunari di “Vollmond”,oppure tra i ritmi della quotidianità tragicomica,attraverso la frenesia dei corpi in “Kontakthof.
I danzatori raccontano la loro esperienza con la Bausch attraverso il linguaggio universale del corpo. Attraverso i loro visi e con le parole, rivelano l’ incontro con una donna che dei suoi interpreti ne metteva in scena l’anima nuda.
Wenders proietta l’universalità dei lavori coreografici del Wuppertal Tanztheater in contesti urbani. Il linguaggio fotografico è talmente evocativo da realizzare una coreografia parallela alla danza stessa. Il regista ne diventa nuovo coreografo. Attraversa e accarezza i danzatori,raccontandoci come faceva Pina Bausch,tutti i colori della vita. (Antonella Putignano)