François Truffaut, con accanto Jean Cocteau, Edward G. Robinson e Jean-Pierre Léaud. Nel 1959 all'epoca de I quattrocento colpi.

giovedì 5 maggio 2011

TEOREMA

Bisogna cercare di inventare nuove tecniche che siano irriconoscibili, che non assomiglino a nessuna operazione precedente, per evitare la puerilità, il ridicolo. Costruirsi un mondo proprio, con cui non siano possibili confronti, per cui non esistono precedenti misure di giudizio, che devono essere nuove come la tecnica. Nessuno deve capire che l’autore non vale niente, che è un essere anormale, inferiore, che come un verme si contorce e striscia per sopravvivere. Nessuno deve mai coglierlo in fallo di ingenuità. Tutto deve presentarsi come perfetto, basato su regole sconosciute e quindi non giudicabili. Come un matto, si, come un matto, vetro su vetro, perché non sono capace di correggere niente e nessuno se ne deve accorgere. Un segno dipinto su un vetro che regge, senza sporcarlo, un segno dipinto prima su un altro vetro. Ma tutti dovranno credere che non si tratti del ripiego di un incapace, di un impotente. Niente affatto. Ma che si tratti invece di una decisione sicura, imperterrita, alta e quasi prepotente. Nessuno deve sapere che un segno riesce bene per caso, per caso e tremando; e che appena un segno si presenta riuscito bene per miracolo, bisogna subito proteggerlo, custodirlo, come in una teca. Ma nessuno, nessuno deve accorgersene. L’autore è un povero tremante idiota, una mezza calzetta, vive nel caso e nel rischio, disonorato come un bambino, ha ridotto la sua vita alla malinconia ridicola e vive degradato dall’impressione di qualcosa di perduto per sempre.


Pier Paolo Pasolini (Teorema, 1968)

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