Nel 2001, a ventisei anni, Giada Colagrande scrive, dirige e interpreta il suo primo lungometraggio, Aprimi il cuore. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2002, il film partecipa successivamente a numerosi altri festival internazionali, tra i quali, in concorso, il Tribeca Film Festival 2003 (New York), e Paris Cinéma 2003, dove riceve il Prix de l’avenir.
Nonostante il soggetto non sia del tutto originale (La fiammiferaia di Aki Kaurismäki del 1990; L'angelo della vendetta di Abel Ferrara del 1981; Bound - Torbido inganno dei fratelli Wachowski del 1996), e nonostante i mezzi a disposizione siano limitati, il lavoro di Giada Colagrande è un lavoro riuscito, per ciò che riguarda la sua messa in scena essenziale e per la sua valenza fotografica, se intendiamo per fotografia, prima ancora che capacità tecnica, capacità di attribuire all’immagine proiettata una valenza soggettiva e di impressionare lo spettatore.
Un’introversa diciassettenne (Caterina) vive con la sorella maggiore (Maria) in un appartamento. Le due donne vivono isolate dal resto del mondo in un rapporto esclusivo e morboso. Mentre la sorella più grande si prostituisce nell’appartamento, la piccola divide il suo tempo tra lo studio e la frequentazione di un corso di danza, ricevendo dalla sorella tutte le informazioni possibili: quelle di una madre, di un’amica, di un’insegnante ed anche di un’amante. L’esistenza di Caterina è totalmente regolata dall'ingombrante presenza di Maria, finché Giovanni, il custode della scuola di danza, affascinato dalla diversità della ragazza, riesce con uno stratagemma ad espugnare la cortina che attornia la giovane ed il suo cuore. Maria, scoperta l’attrazione tra i due, seduce Giovanni, senza riuscire tuttavia a cancellare il loro sentimento. Giovanni e Caterina arrivano a vedersi di nascosto e ad amarsi fugacemente durante le assenze di Maria, ma una sera la donna rincasa prima, scoprendoli insieme…
Finanziato con un prestito della nonna, la giovane esordiente autrice/attrice, anche con l’ausilio di Francesco Di Pace, confeziona un film trasgressivo che muove nel torbido delle pulsioni erotiche e delle perversioni sessuali.
Non condivido le critiche feroci che ha suscitato il film, non fosse altro per il coraggio dell’autrice di mostrare una dinamica torbida e morbosa di “Due sorelle. Il loro amore impossibile e la loro illusoria e fragile unità, rotta dall’irruzione di un altro amore. Una serie: di amori, di tentate fusioni e dei loro fallimenti, di dolori, di morti. Di madonne dipinte…”.
Si tratta di un tentativo, quello di un cinema che, pur nelle sue asprezze, ha il coraggio di mettersi in gioco, di denudare progressivamente l'anima dei protagonisti, di guardare ai corpi come forme di una materia da scomporre e ricomporre.
Due location: una interna (l’abitazione, set/palcoscenico da dove entrano ed escono i personaggi, ovvero i clienti di Maria), una esterna (il giardino antistante la scuola di ballo, dove Caterina trova nel mondo il sentimento nuovo ed affascinante dell’amore). Alcune costanti diegetiche: i suoni (il cigolio del letto), le associazioni/visioni (i dipinti), gli oggetti (la televisione accesa).
L’isolamento della protagonista del film è rappresentato in ogni inquadratura, da dove sembra essere volontariamente eliminato il fuori-campo. Il quadro visivo dell'inquadratura, infatti, costituisce l'unico spazio dell'immagine e della vita dei personaggi.
Per altro verso, ad essere poste al centro della rappresentazione sono, prima ancora che l’ambientazione noir, le dinamiche interiori e sessuali della protagonista, al limite tra l’erotismo e la deviazione. Nel piccolo mondo angusto dove è rinchiusa la bambina trova la relazione con un uomo adulto, come un padre e oltre che un amante; nel rapporto con la sorella la bambina trova il piacere (rassicurante della relazione incestuosa) e l’emulazione del piacere (nel gioco della prostituzione); nella solitudine della sua esistenza la bambina trova la morte, quella dei clienti e della sorella e infine l’annullamento di se stessa.
Un buon film, per la forza delle immagini ed il coraggio nella scelta degli argomenti, da segnalare per chi aspira a fare cinema, nel tentativo di opporsi alla banalità e massificazione in cui versa oggi il linguaggio cinematografico.
sabato 7 gennaio 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Se un film mi piace lo ricorderò per l'atmosfera...non per la trama o gli spunti di riflessione allora il commento lo lascio nella forma del FLUSSO DI COSCIENZA:
RispondiEliminail cigolio...
le icone sulla vita di Maria, la Madonna
il sentimento nello squallore o in quello che può apparire tale...
il riscatto...e la sua ineluttabilità...
gli equilibri sovvertiti dalla moglie dello scomparso, portatrice di una menzogna "eravamo così innamorati", affermatrice di verità
le maree
Chiarina
la spugna che "monda" la schiena
il sole sulla faccia di Giovanni..
Dimenticavo:
RispondiEliminaFilippo Timi...
Furbina la Colagrande...
RispondiEliminahttp://www.vogue.it/vogue-starscelebsmodels/coppie/2010/03/willem-dafoe-e-giada-colagrande