Eppure io credo che la realtà sia soggettiva e come tale essa sia relativa, non tanto nella sua percezione, ma proprio nella sua stessa consistenza. L'espressione artistica in quanto tale non può che limitarsi a rappresentare il riflesso di una dimensione che è costantemente in progressione. “La vita è uno stato della mente” così come viene recitato alla fine di Oltre il giardino - Being There (film del 1979 diretto da Hal Ashby).
Per questo vorrei parlare della memoria, e del modo in cui il cinema può rappresentare un possibile percorso visivo sulla/nella mente. In fondo è proprio nell'esplorazione della mente che possiamo ricostruire o ri-costituire il nostro rapporto con le cose.
Memento (film del 2000 diretto da Christopher Nolan); Spider (film del 2002 diretto da David Cronenberg); Stati di allucinazione - Altered States (film del 1980 diretto da Ken Russell); Inland Empire - L'impero della mente (film del 2006 diretto da David Lynch; Shining (film del 1980 diretto da Stanley Kubrick).
Il raffronto è nei contenuti, ma interessante è anche l'approccio stilistico dei vari autori. nella prima pellicola il movimento è esterno al personaggio e a ritroso. partendo dalla fine degli eventi lo spettatore ritrova alla fine del film la storia umana del personaggio. Nel secondo film il punto di vista è interno ed in avanti. Il personaggio esce da se stesso e ripercorre assieme allo spettatore le fasi salienti della sua esistenza. nella terza pellicola il punto di vista è esterno ed a scatole cinesi. Gli eventi vengono rappresentati oggettivamente ma al variare del punto di vista dei diversi personaggi all'interno della storia varia anche la consistenza dell'evento in se (sogno, ricordo, rimorso, paura, e ancora realtà, finzione, illusione). Il personaggio di Ken Russell (uno scienziato alle prese con un esperimento scientifico) procede con un andamento oggettivo e a ritroso verso il tempo, il suo obiettivo è quello di ritrovare la propria origine biologica, regredire alla materia primordiale fino all'epoca della formazione del Big bang. Interessante la trasformazione fisica del personaggio. L'ultimo film neanche a dirlo è il più significativo, la mente è un luogo. un albergo sperduto (Overlook hotel). all'interno l'uomo cerca di ri-percorrere se stesso, ma si trova perso in un labirinto. In questo caso di terrore e morte. Solo alla fine lo spettatore vedendo una foto del protagonista appesa al muro concepirà la sua esistenza come un movimento che non ha inizio e non ha fine (emblematica la sequenza finale realizzata con una steadicam, tecnicamente carrello in avanti, quindi riproducendo quello che potrebbe essere il vero punto di vista dello spettatore).
La memoria non è stabile, come anche i possibili modi di rappresentarla non lo sono. Il suo oggetto non è costante. Potremmo dire che varia al variare del modo in cui è rappresentata. Ma non è semplice narrare qualcosa se sfugge dalle mani.
lunedì 21 febbraio 2011
venerdì 4 febbraio 2011
Matteo Garrone vs Paolo Sorrentino
Dire quale dei due registi sia preferibile nell’attuale panorama del cinema italiano non è semplice. In fondo hanno entrambi caratteristiche stilistiche e spunti tematici davvero notevoli. Si direbbe che le peculiarità dei due, e per altro verso le rispettive differenze, siano in grado di rappresentare nella sua complessità l’idea del cinema d’autore italiano, capace di catturare l’immagine della società contemporanea e la sintesi del suo progresso storico.
Classe 1968 Matteo Garrone, classe 1970 Paolo Sorrentino, romano il primo napoletano il secondo, hanno entrambi il pregio di perseverare nelle proprie convinzioni iniziali sul cinema, nonostante inevitabili assestamenti delle loro applicazioni stilistiche.
Tralasciando i rispettivi esordi, mette conto rilevare la cifra dei contenuti espressi nei lungometraggi dei due registi. E così il primo ha dato vita a pellicole interessanti come: Terra di mezzo (1996); Ospiti (1998); Estate romana (2000); L'imbalsamatore (2002); Primo amore (2003) e da ultimo Gomorra (2008). Il secondo ha realizzato: L'uomo in più (2001); Le conseguenze dell'amore (2004); L'amico di famiglia (2006) e infine Il divo (2008).
Se si potessero sintetizzare le assi portanti del cinema italiano si potrebbe affermare, seppure senza pretesa di categoricità, che la summa si è avuta per un verso con il cinema di Michelangelo Antonioni, per quello che attiene ad un linguaggio basato sulla essenzialità dei fenomeni narrati, e per altro verso con il cinema di Federico Fellini, sul versante della trasfigurazione immaginifica degli eventi. Fotografia l’uno (ad es. Blow Up) allegoria l’altro (Otto e mezzo). Si potrebbe dire in un caso analisi dei processi e nell’altro sintesi della storia. Questo avveniva attorno agli anni 60’ – 70’, ma da li a seguire, purtroppo, la sperimentazione italiana sembra essersi arrestata. Almeno fino ad oggi, con gli autori in commento.
Partiamo dal primo. Predilige la rappresentazione di storie semplici, o comunque di contesti sociali degradati, al limite dell’emigrazione e della illegalità, in buona sostanza l'interesse per il realismo. Il metodo di lavorazione di Garrone, volto a investigare tanto l'incertezza esistenziale dei personaggi tanto il più ampio scenario sociale che li ricomprende, sembra essere quello dogmatico (da dogma 95 promosso nei primi anni novanta da Lars Von Trier e Thomas Vinterberg), legato cioè ad una troupe ridotta al minimo, a riprese in ambienti reali, ad un uso della cinepresa a spalla, del sonoro in presa diretta e di attori non professionisti. Ne deriva un cinema aperto all'improvvisazione, che rifiuta la spettacolarità fine a se stessa per mettersi al servizio della realtà. In altre parole la poetica del regista si trasfonde in uno stile asciutto quasi documentaristico, laddove più che la narrazione, il centro focale consiste nel fotografare nella sua intima essenza l'ambientazione autentica del reale. I successivi lavori mettono in evidenza una predilezione per storie più complesse che mettono in risalto la psicologia dei personaggi ma pospongono l’impianto sociale. All'attenzione per lo scorrere della realtà si unisce una rigorosa ricerca formale, influenzata forse da altri percorsi artistici del regista. In questo modo un fatto di cronaca perde la sua attinenza prettamente reale per divenire pretesto per un indagine più aperta nelle viscere della mente umana. Si ricongiungono così gli elementi stilistici tipici del noir in una storia in bilico tra il realismo e astrazione pittorica. Il film esaspera la storia narrata tra la registrazione neutra della realtà e un'elaborazione visiva che tende all'astrattismo. Anche gli accorgimenti tecnici, come l’uso del piano-sequenza, mettono in evidenza l’utilizzo del mezzo cinematografico per dotare di tensione semantica le vicende narrate. Con l’ultimo film (Gomorra del 2008) Garrone raggiunge certamente la sua maturità artistica. Supportato dalla struttura narrativa del testo di Roberto Saviano, il regista riproduce governandoli i propri assiomi stilistici. A riprese mobili di segno documentaristico si contrappongono piani ragionati ed una maggiore cura nella composizione fotografica. Prevale il sonoro in presa diretta con predilezione per un commento musicale intradiegetico, e lo stesso montaggio si mette da parte per mostrare nel suo sviluppo naturalistico l’ambientazione messa in scena. Ottimo direi o quasi eccellente il risultato finale che lascia allo spettatore non una valutazione immediata e talvolta superficiale ma il più profondo giudizio personale su fatti non filtrati dal giudizio del regista.
Veniamo a Paolo Sorrentino, regista e sceneggiatore di abile mestiere. La sua nota stilistica di fondo è un sapiente e pervicace utilizzo del montaggio semantico, della fotografia estetica e della voce narrante dei personaggi (c.d. Voce off o fuori campo). I personaggi raccontati e posti al centro della sua attenzione sono uomini che credono di avere il controllo delle situazioni che vivono, del loro destino, ma che in fondo sono assoggettati agli eventi messi in atto dalla storia. Antonio "Tony" Pisapia, Titta Di Girolamo (Toni Servillo), Geremia de' Geremei (Giacomo Rizzo) e infine Giulio Andreotti (di nuovo Toni Servillo) sono i protagonisti che detengono allo stesso tempo il successo ed il fallimento delle loro vicende personali, ed insieme il limite del contesto sociale in cui si muovono. Emblematico lo sviluppo narrativo di Titta Di Girolamo ne “Le conseguenze dell’amore” ed il contrapporsi tra il suo cinismo iniziale ed il lento sgretolarsi della sua integrità di fronte all'amore per la giovane commessa del bar dell’albergo in cui vive. Ma anche la vicenda di Geremia ne “L’amico di famiglia” che crede di raddoppiare in un solo affare tutti i risparmi accumulati nella sua carriera di usuraio e che invece si infrange irrimediabilmente di fronte all’abile raggiro organizzato dalla bella e affascinante Rosalba e dall’ambiguo Cowboy. Viene portata sulla scena la solitudine dei personaggi, l'ambiguità dei loro desideri e il congelamento delle emozioni. Si tratta di uomini che vivono intrappolati ognuno e a suo modo nella propria realtà ed è per questo che le scelte stilistiche sono gestite per ottenere un risultato visivo idoneo a sintetizzare quegli stati d’animo.
Sorrentino è attualmente impegnato nelle riprese del suo primo film in lingua inglese, This Must Be the Place, che vedrà Sean Penn nel ruolo del protagonista. Garrone, da quello che si apprende sulla stampa, è intenzionato a realizzare, con l’ausilio di Fabrizio Corona, un film su “Vallettopoli”, ovvero “su quell’universo cialtrone che ondeggia tra pagine di rotocalchi e faldoni di inchieste giudiziarie”.
Una notazione finale merita la particolare cura di entrambi i registi per la fotografia, ed affidata per Garrone a Marco Onorato (Oscar Europeo per Gomorra) e per Sorrentino a Luca Bigazzi (Nastro d’argento per Le conseguenze dell'amore).
Classe 1968 Matteo Garrone, classe 1970 Paolo Sorrentino, romano il primo napoletano il secondo, hanno entrambi il pregio di perseverare nelle proprie convinzioni iniziali sul cinema, nonostante inevitabili assestamenti delle loro applicazioni stilistiche.
Tralasciando i rispettivi esordi, mette conto rilevare la cifra dei contenuti espressi nei lungometraggi dei due registi. E così il primo ha dato vita a pellicole interessanti come: Terra di mezzo (1996); Ospiti (1998); Estate romana (2000); L'imbalsamatore (2002); Primo amore (2003) e da ultimo Gomorra (2008). Il secondo ha realizzato: L'uomo in più (2001); Le conseguenze dell'amore (2004); L'amico di famiglia (2006) e infine Il divo (2008).
Se si potessero sintetizzare le assi portanti del cinema italiano si potrebbe affermare, seppure senza pretesa di categoricità, che la summa si è avuta per un verso con il cinema di Michelangelo Antonioni, per quello che attiene ad un linguaggio basato sulla essenzialità dei fenomeni narrati, e per altro verso con il cinema di Federico Fellini, sul versante della trasfigurazione immaginifica degli eventi. Fotografia l’uno (ad es. Blow Up) allegoria l’altro (Otto e mezzo). Si potrebbe dire in un caso analisi dei processi e nell’altro sintesi della storia. Questo avveniva attorno agli anni 60’ – 70’, ma da li a seguire, purtroppo, la sperimentazione italiana sembra essersi arrestata. Almeno fino ad oggi, con gli autori in commento.
Partiamo dal primo. Predilige la rappresentazione di storie semplici, o comunque di contesti sociali degradati, al limite dell’emigrazione e della illegalità, in buona sostanza l'interesse per il realismo. Il metodo di lavorazione di Garrone, volto a investigare tanto l'incertezza esistenziale dei personaggi tanto il più ampio scenario sociale che li ricomprende, sembra essere quello dogmatico (da dogma 95 promosso nei primi anni novanta da Lars Von Trier e Thomas Vinterberg), legato cioè ad una troupe ridotta al minimo, a riprese in ambienti reali, ad un uso della cinepresa a spalla, del sonoro in presa diretta e di attori non professionisti. Ne deriva un cinema aperto all'improvvisazione, che rifiuta la spettacolarità fine a se stessa per mettersi al servizio della realtà. In altre parole la poetica del regista si trasfonde in uno stile asciutto quasi documentaristico, laddove più che la narrazione, il centro focale consiste nel fotografare nella sua intima essenza l'ambientazione autentica del reale. I successivi lavori mettono in evidenza una predilezione per storie più complesse che mettono in risalto la psicologia dei personaggi ma pospongono l’impianto sociale. All'attenzione per lo scorrere della realtà si unisce una rigorosa ricerca formale, influenzata forse da altri percorsi artistici del regista. In questo modo un fatto di cronaca perde la sua attinenza prettamente reale per divenire pretesto per un indagine più aperta nelle viscere della mente umana. Si ricongiungono così gli elementi stilistici tipici del noir in una storia in bilico tra il realismo e astrazione pittorica. Il film esaspera la storia narrata tra la registrazione neutra della realtà e un'elaborazione visiva che tende all'astrattismo. Anche gli accorgimenti tecnici, come l’uso del piano-sequenza, mettono in evidenza l’utilizzo del mezzo cinematografico per dotare di tensione semantica le vicende narrate. Con l’ultimo film (Gomorra del 2008) Garrone raggiunge certamente la sua maturità artistica. Supportato dalla struttura narrativa del testo di Roberto Saviano, il regista riproduce governandoli i propri assiomi stilistici. A riprese mobili di segno documentaristico si contrappongono piani ragionati ed una maggiore cura nella composizione fotografica. Prevale il sonoro in presa diretta con predilezione per un commento musicale intradiegetico, e lo stesso montaggio si mette da parte per mostrare nel suo sviluppo naturalistico l’ambientazione messa in scena. Ottimo direi o quasi eccellente il risultato finale che lascia allo spettatore non una valutazione immediata e talvolta superficiale ma il più profondo giudizio personale su fatti non filtrati dal giudizio del regista.
Veniamo a Paolo Sorrentino, regista e sceneggiatore di abile mestiere. La sua nota stilistica di fondo è un sapiente e pervicace utilizzo del montaggio semantico, della fotografia estetica e della voce narrante dei personaggi (c.d. Voce off o fuori campo). I personaggi raccontati e posti al centro della sua attenzione sono uomini che credono di avere il controllo delle situazioni che vivono, del loro destino, ma che in fondo sono assoggettati agli eventi messi in atto dalla storia. Antonio "Tony" Pisapia, Titta Di Girolamo (Toni Servillo), Geremia de' Geremei (Giacomo Rizzo) e infine Giulio Andreotti (di nuovo Toni Servillo) sono i protagonisti che detengono allo stesso tempo il successo ed il fallimento delle loro vicende personali, ed insieme il limite del contesto sociale in cui si muovono. Emblematico lo sviluppo narrativo di Titta Di Girolamo ne “Le conseguenze dell’amore” ed il contrapporsi tra il suo cinismo iniziale ed il lento sgretolarsi della sua integrità di fronte all'amore per la giovane commessa del bar dell’albergo in cui vive. Ma anche la vicenda di Geremia ne “L’amico di famiglia” che crede di raddoppiare in un solo affare tutti i risparmi accumulati nella sua carriera di usuraio e che invece si infrange irrimediabilmente di fronte all’abile raggiro organizzato dalla bella e affascinante Rosalba e dall’ambiguo Cowboy. Viene portata sulla scena la solitudine dei personaggi, l'ambiguità dei loro desideri e il congelamento delle emozioni. Si tratta di uomini che vivono intrappolati ognuno e a suo modo nella propria realtà ed è per questo che le scelte stilistiche sono gestite per ottenere un risultato visivo idoneo a sintetizzare quegli stati d’animo.
Sorrentino è attualmente impegnato nelle riprese del suo primo film in lingua inglese, This Must Be the Place, che vedrà Sean Penn nel ruolo del protagonista. Garrone, da quello che si apprende sulla stampa, è intenzionato a realizzare, con l’ausilio di Fabrizio Corona, un film su “Vallettopoli”, ovvero “su quell’universo cialtrone che ondeggia tra pagine di rotocalchi e faldoni di inchieste giudiziarie”.
Una notazione finale merita la particolare cura di entrambi i registi per la fotografia, ed affidata per Garrone a Marco Onorato (Oscar Europeo per Gomorra) e per Sorrentino a Luca Bigazzi (Nastro d’argento per Le conseguenze dell'amore).
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